ART SEED #8. CARLO PESCE. 44°54’46.77″N 8°36’56.70″E
200 metri in nome della libertà artistica
“La Libertà che guida il popolo” è uno dei quadri più famosi di Eugene Delacroix. Il messaggio più evidente dell’opera è sicuramente quello politico, un messaggio nel quale, attraverso la personificazione della Libertà, in prima linea sulle barricate issate nel 1830, vengono ribaditi i principi rivoluzionari – messi in discussione dalla Restaurazione – alla base dell’evoluzione democratica. Questi principi sono ormai considerati irrinunciabili dall’autore del dipinto, ed è per questo che, con i mezzi che gli sono propri, egli esorta il popolo a riappropriarsene, anche a costo di sacrificare tutto quello che si possiede. Ma se si scava più in profondità e, osservando i personaggi che animano la sovraffollata sequenza parigina, si intuisce che il volto dell’uomo con il cappello a cilindro è in verità un autoritratto dello stesso artista; in questo modo, ponendo se stesso accanto alla monumentale figura femminile a seno scoperto, quello di Libertà diventa anche un principio individuale che fa emergere e ribadisce che un artista non può essere chiuso da certi condizionamenti, non può derogare a costrizioni intellettuali e di azione imposte da altri: insomma, deve poter agire seguendo la sua ispirazione.
In questo periodo in cui si accumulano anche per gli artisti contemporanei decreti coercitivi e grida impedienti è opportuno cercare di non lasciarsi trascinare dallo sconforto e di opporsi a questo trend continuando a fare arte. Ma come si può agire, tenendo conto che la abituale fruizione dell’arte ci è preclusa? Dove è possibile esporre il frutto delle proprie idee se gli spazi deputati non sono accessibili? E anche se lo fossero, ci sarebbero persone disposte a entrare, magari anche uno per volta, in una ipotetica galleria per osservare il prodotto artistico ivi esposto?
I decreti che regolano le nostre esistenze da qualche tempo parlano chiaro: si può uscire di casa solo per particolari esigenze, e tra queste vi sono quelle che continuano a garantirci una parvenza di normalità, come fare la spesa. Inoltre è possibile, per esempio, fare un po’ di attività sportiva nel raggio di 200 metri dal luogo in cui su risiede, oppure, per chi lo possiede, portare il cane a fare una passeggiata ma sempre in prossimità della propria abitazione. Ecco allora che quello che si potrebbe fare è sfruttare queste possibilità, poche, in realtà, ma assolutamente legali. Gli artisti che se la sentono potrebbero creare un’opera pensata per essere collocata a non più di 200 metri da casa, come se fosse posta in una galleria fruibile da tutti quelli che si trovano in prossimità di questi fatidici 200 metri. Quindi, attraverso un intervento “virale”, moltiplicare gli interventi e creare rimandi capaci di estendersi per chilometri, dove ovviamente ciò è possibile. In questo modo la creatività ai tempi del Covid-19 non verrebbe mortificata, si continuerebbe a produrre arte lasciando una traccia di questo periodo in nome della libertà di essere artisti. Non si tratta di un invito a violare la legge, lo ribadisco, le opere devono essere in qualche modo provocatorie, piccole installazioni, sculture, dipinti, opere pensate per integrarsi in modo effimero con l’ambiente urbano e non. Per questo devono essere costruite in modo da non durare per sempre ma nello stesso tempo devono anche essere pensate per risultare visibili, facilmente trasportabili e collocabili in loco in tempi ristretti, infine documentate con uno scatto dello smartphone. Chissà se funzionerà, ma come già sperimentato da Francesco Arecco, dal quale è peraltro partita questa riflessione, tutto può avere un senso e una piccola operazione di resilienza può fare riflettere anche sul futuro dell’arte.
Aprile 2020.
Un’iniziativa interessante dal valore simbolico e praticabile soprattutto nei centri urbani o da ciò che ne rimane. Ma credo che l’invito sia anche più complesso e che abbia a che fare con una riflessione sulla visibilità, che cos’è oggi? cosa significa comunicare in queste condizioni? A chi? Credo che in questo momento l’arte abbia il dovere di registrare, di attendere e di riflettere sulla situazione. La pandemia ha di fatto omogenizzato la società annullando le differenze, oggi qui come altrove si vive la medesima condizione. Ma i contesti rimangono, e se un lavoro esposto in un centro urbano potrebbe avere un senso, io da artista naturalista e campagnola aspetto e produco in silenzio significati che magari un giorno verranno visti chissa’ !!